L'infinito viaggio dell'Atleta di Lisippo


Una splendida opera bronzea proveniente dal mare e la decisione di un gip marchigiano riaprono il dibattito sui capolavori antichi sbarcati oltreoceano e sulla proprietà dei reperti restituiti dalle profondità marine. L'infinito viaggio dell'Atleta di Lisippo.

Di seguito l'articolo comparso su Repubblica

ROMA - Il pescatore Romeo Pirani sarebbe contento per la decisione presa ieri dal tribunale di Pesaro di confiscare la statua dell'Atleta vittorioso, attribuita al greco Lisippo e ora in mano al Getty Museum di Los Angeles.

Morto nel 2004, era stato lui a ripescarla trent'anni prima al largo di Fano e poi a rivenderla illegalmente a un imprenditore di Gubbio per cinque milioni di lire. Pentito per quella pesca miracolosa e fraudolenta, Pirani pose una delle 8000 firme della petizione che chiedeva di far tornare in città, una volta rientrato in Italia, il prezioso bronzo ellenistico. Ma la battaglia per riconquistare l'Atleta di Fano non è ancora vinta. Ieri la Fondazione californiana ha annunciato che farà ricorso in Cassazione contro la decisione del gip Lorena Mussoni che ordina di confiscare il capolavoro «al Getty Museum o ovunque si trovi».

È la prima volta che si arriva davanti a un giudice per risolvere una controversia Italia-Usa sulla restituzione di capolavori del patrimonio italiano. Due anni fa il ministro dei Beni culturali di allora, Francesco Rutelli, portò a casa decine di reperti archeologici. E molti furono restituiti dallo stesso museo californiano. «Con la confisca decisa a Pesaro ora il Getty dovrà dare applicazione al nostro accordo», ha ribadito ieri Rutelli.

Accordo in base al quale «le parti accettano di discutere - si legge nel sito stesso del museo - la restituzione dell'Atleta dopo il procedimento in corso a Pesaro».

Ma Oltreoceano non ci pensano proprio. «L'Atleta vittorioso è greco e non italiano e poi non l'abbiamo sottratto, all'epoca il museo lo pagò appropriatamente (3,9 milioni di dollari nel 1977, ndr) e non c'è stato niente di criminale nelle nostre azioni», precisa la portavoce della Fondazione, Julie Jaskol. Che sostiene: «Il ritrovamento avvenne in acque internazionali». E cita una sentenza del tribunale di Pesaro del 2007 in cui si ribadiva la «buona fede» della Fondazione americana. «No, non è stato un acquisto fatto in buona fede», replica l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli protagonista, con il ministero e i carabinieri del Nucleo tutela, delle indagini sull'affare Atleta ripescato a Fano ma che in California chiamano ormai " The Getty Bronze ". «I documenti ritrovati dimostrano» che i responsabili del museo «erano in malafede» e che «hanno anzi occultato le prove», sostiene Fiorilli. E il suo collaboratore, Stefano Alessandrini, di Italia Nostra: «Per le altre opere in loro possesso, sono capaci di risalire con le carte ad origini molto lontane. In questo caso ci si ferma invece al documento di acquisto con Artemis».

La società aveva acquistato il bronzo forse direttamente in Italia, l'aveva mandatoa restauraree proposto ai musei Usa. Era il 1972 e l'allora direttore del Metropolitan di New York desistette dall'acquisto, nonostante la bellezza del pezzo, per la provenienza dubbia. E lo stesso fece J. Paul Getty Senior, che chiese una serie di verifiche, mai effettuate. La vendita fu perfezionata solo dopo la sua morte, per quasi quattro milioni di dollari. Il Getty ha deciso di andare in Cassazione. «Ora il governo italiano riprenderà le trattative», annuncia l'avvocato Fiorilli.

«Ma se non daranno esisto positivo, faremo causa in America».

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